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mercoledì 8 aprile 2015

No man's land?

Fin dai primi anni della mia giovinezza pensavo che ognuno di noi ha la propria ‘no man’s land’, in cui è totale padrone di se stesso. C’è una vita a tutti visibile, e ce n’è un’altra che appartiene solo a noi, di cui nessuno sa nulla. Ciò non significa affatto che, dal punto di vista dell’etica, una sia morale e l’altra immorale, o, dal punto di vista della polizia, l’una lecita e l’altra illecita. Semplicemente, l’uomo di tanto in tanto sfugge a qualsiasi controllo, vive nella libertà e nel mistero, da solo o in compagnia di qualcuno, anche soltanto un’ora al giorno, o una sera alla settimana, un giorno al mese; vive di questa sua vita libera e segreta da una sera (o da un giorno) all’altra, e queste ore hanno una loro continuità. Queste ore possono aggiungere qualcosa alla vita visibile dell’uomo oppure avere un loro significato del tutto autonomo; possono essere felicità, necessità, abitudine, ma sono comunque sempre indispensabili per raddrizzare ‘la linea generale’ dell’esistenza. Se un uomo non usufruisce di questo suo diritto o ne viene privato da circostanze esterne, un bel giorno scoprirà con stupore che nella vita non s’è mai incontrato con se stesso, e c’è qualcosa di malinconico in questo pensiero. In questa ‘no man’s land’ dove l’uomo vive nella libertà e nel mistero, possono accadere strane cose, si possono incontrare altri esseri simili, si può leggere e capire un libro con particolare intensità, o ascoltare musica in modo inconsueto, oppure nel silenzio e nella solitudine può nascere il pensiero che in seguito ti cambierà la vita, che porterà alla rovina o alla salvezza…” Oggi che tutto pare esteriorizzato, che ogni parola finisce in un baleno nel grande chiacchiericcio universale, oggi che il pensiero unico ha cancellato ogni pensiero privato, rileggere queste righe mi sembra importante. Mi riporta all’età magica dell’adolescenza, età che poi si rinnova ogni giorno, quando si chiude la porta della cameretta in faccia all’universo e si resta da soli con un libro in mano, con una chitarra, con niente, e si scopre quella strana intimità con se stessi, un’umidità segreta che fa nascere fiori e pensieri inaspettati, i nostri fiori, i nostri pensieri. E’ un momento di diserzione, di separazione, di autoreclusione nell’autenticità della nostra vita: è il momento in cui scopriamo chi siamo davvero, cosa vogliamo, cosa ci fa paura.
A volta la porta si apre per lasciar passare un amico, uno che sente le cose come le sentiamo noi, o un amore che trema nello stesso freddo. Guai se questa ‘no man’s land’ viene colonizzata dall’impero generale, guai se ci viene sottratta dal rumore e dalle immagini dell’epoca. Noi esistiamo in quanto abitanti di quell’isola miseriosa: lì troviamo la bellezza e la forza che ci servono per vivere tutto il resto del tempo. Ma se perdiamo la nostra cameretta, quella panchina metafisica, quello spicchio invisibile saremo solo numeri nell’anonimato, impersonalità, tristezza. Una vita che non si individua è una vita sprecata, diceva Jung, e la vita si individua solo se ha le chiavi della sua ‘no man’s land’.

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